Luisa Ferida, 2
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Luisa Ferida piace molto perchè il suo tipo di bellezza è vicino all’ideale della “donna italiana”, il volto pulito, gli zigomi alti, le sopracciglia lunghe e folte, una bellezza lontana da quella delle altre prime donne in corsa verso il successo: Clara Calamai alta e sottile, Maria Denis delicata e dai tratti infantili, Assia Noris, fragile, eterea. L’incontro fra Luisa Ferida e Osvaldo Valenti avviene proprio a causa del film di Blasetti Una avventura di Salvator Rosa; si racconta che Luisa si fosse invaghita del regista alto, grosso, con gli stivali, ma questi, per evitare problemi con Elisa Cegani, la dirotta verso Osvaldo che si presenta e la invita a cena. Fra i due nasce un amore che resisterà a tutti gli eventi e che li accompagnerà sino alla morte. Una avventura di Salvator Rosa consentirà alla Ferida di prorompere in tutta la sua provocante bellezza; quando corre il seno generoso non trattenuto ballonzola davanti agli occhi estasiati degli spettatori: il suo ruolo viene letto come una antesignana eroina fascista, una donna capace di lottare contro le falsità e le ingiustizie per il trionfo della giusta causa. Luisa Ferida è una donna del popolo animata da un sacro furore e il popolo in lei si riconosce e le decreta il trionfo. L’attrice può così abbandonare la strada che il suo amante, il produttore ( e agente dell’Ovra) Francesco Salvi detto Cecchino le aveva tracciato impegnandola in film come La fossa degli angeli con Amedeo Nazzari e Animali pazzi con Totò. Film largamente popolari, amati dal pubblico di ogni età, ma certamente non in grado di consacrarla come una grande star del firmamento cinematografico italiano. Dopo Una avventura di Salvator Rosa, arriva La Corona di ferro sempre di Blasetti. Il film trionfa a Venezia ma suscita le ire di Goebbels, ministro della cultura del Reich il quale (ospite d’onore alla manifestazione veneziana) sembra abbia affermato: “ Se un regista tedesco avesse realizzato questo film in Germania sarebbe stato messo al muro”. Ormai l’Italia è in guerra e malgrado la guerra, il cinema italiano va avanti e concorre a fare di Luisa Ferida una attrice completa capace di interpretare ruoli diversi con sensibilità e forte maturità espressiva in particolare tra il 1941 e il 1942, gli anni d’oro della sua carriera. Ricordiamo Fedora (1942) di Camillo Mastrocinque, e Fari nella nebbia (1942) di Gianni Francioli, per il quale fu premiata come miglior attrice italiana dell’anno e poi “La locandiera” (1944) di Luigi Chiarini, film abbandonato in montaggio dal suo autore che non volle seguire le sorti dei colleghi nella R.S.I. Nel 1944 Luisa è a Venezia, con Osvaldo Valenti per lavorare al Cinevillaggio, luogo della produzione cinematografica della Repubblica. Ha scelto Salò per rimanere vicino ad Osvaldo, ma anche per coerenza con le idee fasciste manifestate in più di una occasione. Intanto Osvaldo Valenti si arruola nella Decima Mas del comandante Juno Borghese, destinata a passare alla storia per la crudeltà e l’efferatezza dei suoi componenti. Anche Ferida si “arruola” e sembra felice di indossare la divisa di repubblichina. Con la caduta del fascismo, ha inizio il pellegrinaggio dei due amanti che si sa anche cocainomani; prima Venezia e poi a Milano, dove Osvaldo stringe amicizia con il boia Pietro Koch, il capo dei torturatori di Villa Triste. Secondo alcuni, l’amicizia con Koch era dettata dalla necessità di procurarsi la cocaina. Comunque sia, Giuseppe Marozin, detto “Vero” non esiterà a metterli contro un muro, in via Poliziano, nei pressi dell’Ippodromo di San Siro e fucilarli il 30 aprile del 1945. I due avevano avuto una specie di processo ed erano stati riconosciuti colpevoli anche se il capo della Brigata partigiana “Pasubio” e responsabile dell’esecuzione della Ferida, dichiarò, nel corso del procedimento penale a suo carico per quell’episodio: ” La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente, ma mi chiese di seguire le sorti di Osvaldo Valenti. Disse: siete partigiani, fate il vostro dovere; noi siamo stati fascisti e abbiamo fatto il nostro. “ Sembra che Luisa Ferida fosse incinta quando venne fucilata.
Negli anni cinquanta la madre della attrice farà domanda al Ministero del Tesoro per ottenere una pensione di guerra, essendo la figlia la sua unica fonte di sostentamento. Dopo una lunga indagine dei carabinieri si appurò che: “…la Manfrini dopo l’8 settembre 1943 si è mantenuta estranea alle vicende politiche dell’epoca e non si è macchiata di atti di terrorismo e di violenza in danno della popolazione italiana e del movimento partigiano”. Al termine di tale inchiesta, la madre di Luisa Ferida otterrà una piccola pensione di guerra.
Scrive Italo Moscati nel suo libro Gioco Perverso: “ …Nelle tombe 381 e 382 del cimitero Milanese di Musocco, senza rose né altri fiori, i due giacciono muti ancor prima di morire per le illusioni e le smanie di protagonismo di cui si erano nutriti, incapaci ed impossibilitati a salvarsi…”
Sembra l’epitaffio di tanto cinema fascista.
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