• Corso Completo

Il Carosello e la passera

I primi quattro caroselli della televisione italiana, vanno in onda alle 20,30 di cinquanta anni fa (1957) La straordinaria trasmissione destinata ad incidere e non poco nella vita degli italiani chiuderà i battenti venti anni dopo, il primo gennaio del 1976. In quella occasione, una Raffaella Carrà recita commossa l’addio al programma, brindando con lo Stock84 e ringraziando tutti coloro che avevano contribuito al successo di Carosello.

Carosello ha inventato la pubblicità in TV, sfiorando il jingle
con grande delicatezza, appendice non sgradita ma non sottolineata della scenetta comica o del piccolo racconto di animazione. Una rivoluzione che possiamo sintetizzare nella famosa raccomandazione data a tutti i bambini d’Italia:
“Dopo Carosello, tutti a nanna!”

Carosello ha un avvio lungo e sofferto ( arriva sugli schermi televisivi con oltre due mesi di ritardo sulla data prevista) vissuto fra tremori morali e timori ecclesiali. Un organismo, la Sacis (Società per Azioni Commerciale Iniziative Spettacolo) addetta inizialmente al controllo ed alla gestione della nuova attività, si era trasformata rapidamente e inesorabilmente in un censore occhiuto, sordo a qualunque replica o ricerca di dialogo. Il “carosello” è girato in 35 mm, bianco/nero, naturalmente e deve essere spedito alla Sacis, che li unisce in un unico programma e ne conserva poi un episodio di ogni serie. Carosello va in onda tutti i giorni (le uniche eccezioni sono il Venerdì Santo e il 2 novembre, giorno dei morti ).

La sigla iniziale, prodotta dalla Incom, è ideata e diretta da Luciano Emmer e Cesare Taurelli. I quadri dei siparietti erano disegnati da Nietta Vespignani, moglie del pittore Renzo Vespignani. Il tutto venne girato in una notte, visto che si andava in onda la sera dopo.

Carosello, all’inizio, durava 2’ 15” (con al massimo 35” di pubblicità detto anche codino). La Sacis controlla il tutto con una tale pignoleria da gettare nel panico produttori e realizzatori. Era proibito, ad esempio nella scenetta, qualunque riferimento, anche lontano, al prodotto da sponsorizzare nei 35” del codino. Guai, ovviamente a far apparire altri prodotti (bottiglie, sigarette, caramelle, e quant’altro). Era proibito uscire anche di pochi fotogrammi dai tempi previsti. Giuseppe Rolando ed io, dopo aver girato un Carosello con Macario (Ho proprio capito, ci vuole….) passavamo le notti non a verificarne la durata al cronometro, ma a contare i fotogrammi. Dal controllo tecnico, si passò, chissà poi perché, al diritto di valutare dialoghi e titoli.


Qualche esempio? Potevi dire passero, ma non passera, non potevi dire il bello della natura, chiamare D’Apporto il seduttore, bensì il conquistatore, indicare un lassativo non perchè utile all’intestino, ma perchè “regola l’organismo”, oppure sostenere che “basta la parola”, senza dirla ovviamente. Si ostacolò Fred Buscaglione, per via che le sue canzoni contenevano troppi vocaboli immorali ( pupa), e per il contesto della scenetta considerato violento, senza valutarne l’evidente ironia. Altre parole proibite? sudore, mutande, reggiseno. E potremmo continuare per pagine e pagine.

E allora, perché occuparsene?
Perché Carosello ha rappresentato qualche cosa nella storia italiana. Quella di tutti i giorni, naturalmente, specchio di un Paese ancora mezzo in rovina, macchiato dall’analfabetismo, chiuso e difeso dal dialetto e dai confini della propria regione. I favolosi anni sessanta, il boom economico devono qualche cosa alle scenette di Carosello.

Carosello e Corto

Inserisci un commento

Modulo di inserimento