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Primo Piano, uso del

Il primo piano è il punto focale della narrazione cinematografica.
Al suo apparire, naturalmente, molti critici fecero fuoco e fiamme, gridando alla mostruosità apparsa sullo schermo che nulla aveva di “naturale”. In brevissimo tempo invece, il primo piano ha trasformato il linguaggio cinematografico in un linguaggio inconsueto e di rara efficacia.  Sul piano della narrazione il PP ( così come il PPP) è come un grido di sorpresa, l’accendersi di un interesse improvviso, ma anche il sussurro amorevole o il senso di oscure minacce.
Il primo piano ha toni in grado di suggerire una gamma quasi infinita di emozioni. Per questa ragione va usato con grande sapienza. In fase di montaggio, principalmente, mentre in fase di ripresa, è consigliabile operare – quando la sequenza presenta particolari difficoltà – anche PP non previsti in sceneggiatura, chiedendo agli attori di reagire a battute fuori campo. Nel girare i PP previsti, tenete conto di tutto il “piano d’ascolto” sia in testa che in coda alla battuta detta in primo piano. In montaggio, avrete così la possibilità di “montare” qualche frazione prima o qualche frazione dopo l’intervento, migliorando di molto il ritmo ed il senso della scena. Sul primo piano (come sul primissimo piano) ci sarebbe ancora molto da dire. Qui giova comunque ricordare che i registi compresero quasi subito l’importanza di questo taglio nella sequenza, tanto da ingaggiare una furiosa lotta per attribuirsi il merito dell’invenzione.

Griffith 1915.jpg

Primo fra tutti David Griffith che se ne attribuì la paternità per averlo largamente utilizzato nel 1915. Altri critici lo attribuiscono invece a Giovanni Patrone (Piero Fosco) per Cabiria (1914). Se vogliamo essere ancor più sciovinisti, ricordiamo invece che Mario Caserini chiude il suo film Ma l’amor mio non muore, con un PP di Lydia Borelli e Mario Bonnard nel 1912.

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