La struttura

    h.berruti- Bottego, 1998.jpgL’intelaiatura del documentario è semplice: Immagini, musica, rumori di ambiente e una voce a commento fuori campo (lo speaker); molti documentaristi si sono cimentati nel difficile compito di lasciare all’ambiente, al montaggio ed alla musica il compito di illustrare le immagini senza utilizzare voci speaker. E’ questo un ottimo esercizio, perché ci obbliga ad operare una precisa scelta dell’inquadratura e della sua durata. In sincrono o in dissincrono con la musica, o costruendo dei “ritorni” di immagine per rafforzare o per aiutare la percezione emotiva. Altri ancora, utilizzando le stesse immagini e modificando il commento, hanno aperto la strada all’uso intensivo dello riprese, costruendo più possibilità sul medesimo argomento e sulle medesime inquadrature. documentales_imax_microcosmos. jpg.jpgSe osservate in particolare i documentari sugli animali trasmessi dalla Tv, noterete questo uso intensivo, questo sfruttamento, che trova la sua giustificazione in particolare per i bassissimi prezzi di acquisto operato dalle varie Emittenti, ma che nulla toglie alla capacità artigianale ed all’inventiva degli autori. Senza scendere ad una analisi critica del fenomeno, consideriamo invece il lato positivo: quello che la critica si ostina, nella stragrande maggioranza dei casi ad ignorare.


    etre et avoir.jpgIl brutto anatroccolo della settima arte è, in realtà un cigno. Un bel cigno anche, dotato di eccezionali ed inconsueti poteri, non ultimo quello di trasformarsi, col passare del tempo, in preziosissimo materiale storico, il “repertorio”, da catalogare ed ordinare in modo attento perché sarà testimonianza del passato. L’unica, autentica testimonianza del passato.

    anatroccoli.jpgUn’altra cosa: In Italia esistono, attivi, più di cento Festival del documentario e del Corto. In campo internazionale, ne trovate più di dieci al mese. Chi li alimenta? Quanti brutti anatroccoli vanno starnazzando in giro per il mondo senza riuscire a farsi accettare dai circuiti commerciali che non vedono il cigno che è in loro? Non si sa. Non esiste, in Italia, un albo professionale, non esiste, in pratica, nemmeno il riconoscimento della professione; perché non provare a contarci?

    cignq.jpg
    Se qualche professionista ( o qualche associazione) capita su queste righe, potrebbe cercare di vincere la riservatezza e l’indole un poco anarchica ( i documentaristi sono tutti molto riservati e un poco anarchici) e scrivermi. Forse, in questo modo, riusciremo a contarci e forti del numero, convincere la Rai a dedicare un spazio e soldi allo sviluppo della documentaristica e del cortometraggio italiano. Nulla a che vedere con la politica, per carità. Oggi, per risparmiare, la televisione di Stato compra i cortometraggi a chili dalla Germania e dall’ Inghilterra o dal Canadà. Lo fa per risparmiare e va bene, se questo è il mercato. Il guaio, tuttavia, è che senza questa base creativa, il cinema italiano, già troppo smagrito, rischia di morire di fame

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