….costretti a rifiutare le imposizioni dittatoriali della grandi Case di produzione scoprirono nel documentario un modo libero ed indipendente di lavorare e di sperimentare. In particolare, quando le macchine da presa scesero da venti a dieci e poi a poco più di uno chilo di peso, e quando la Kodak mise in commercio la pellicola a16 mm, i costi di produzione scesero a livelli accettabili quasi per tutti. Un autore rifiutato dai grandi gruppi, poteva cercare di farsi strada con i suoi mezzi e dimostrare, anche solo filmando una danza africana, le sue qualità di regista. Tutto questo in teoria perché nella pratica il documentario è stato ed ancor oggi è considerato una specie di figlio minore, armato di tanta buona volontà ma poco dotato sul piano artistico. Non voglio aprire polemiche, desidero tuttavia ribadire ancora una volta che la strada del cortometraggio è l’unica vera strada capace di fare di voi dei bravi registi, e che tanti, tantissimi documentari sono a pieno titolo iscritti nell’albo d’onore del cinema.

Scritto da Giulio Berruti martedì, 31 luglio 2007 alle ore 21:38 [Permalink]