Ascoli Piceno_ una lettura a cinque voci
IO ANCORA MI RICORDO
LETTURA A CINQUE VOCI
In una canzone di qualche tempo fa, si parlava di persone che sapevano ballare l’alli galli ( Hully Gully) persone che aumentavano via via di numero: da una a dieci, a tantissime. Quando penso a certi avvenimenti della nostra storia mi ritorna in mente quella canzone ma con un andamento rovesciato: da tante persone che lo sapevano ballare a poche e poi a nessuna persona che sapeva di Hully Gully. E così trovare un modo non troppo drammatico di ricordare che tante, troppe pagine della nostra vita vengono annullate o dimenticate o volutamente cancellate dalle stanze della memoria collettiva. Chi ricorda ancora il dramma delle popolazioni civili della nefasta zona “B” e l’allontanamento forzato degli italiani di Pola, Fiume, Zara e la loro accoglienza in veri e propri campi-ghetti in Italia? Quanti sono ancora in vita a ricordano quell’Hully Gaully che furono costretti a ballare? E gli italiani di Libia, quelli che in Libia erano nati e che in Libia vivevano e lavoravano, cacciati nel 1970 da Gheddafi con la confisca di “ tutti i beni mobili ed immobili e l’espulsione immediata” ? L’indennizzo stabilito da una legge del 2009 ( è vero, è vero: 40 anni dopo!) non credo sia stato ancora distribuito. In quanti sono rimasti a ballare l’Hully Gally libico?
Nel mio, nel ricordo dell’Africa Orientale Italiana siamo rimasti in pochi, anzi in pochissimi a ballarlo. Solo Angelo Del Boca, ci riesce ancora molto bene, ma purtroppo la sua voce è più che altro orientata a parlare e a denunciare le porcherie e le violenze di ogni genere commesse dalla nostre truppe. Nulla da obiettare. Ma delle gente comune, quella che in Africa c’era andata convinta dalla propaganda di poter migrare in quelle terre selvagge come tanti Abuna Messias, per insegnare a coltivare la terra, a tenere puliti i bambini, a vivere in case decorose e ad insegnare a leggere e a scrivere ( non oltre!)?
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Di quelle persone dai propositi sostanzialmente onesti, condannate a vivere una esperienza di sacrifici prima e poi di terribili mesi di sofferenza e di dolore, qualcuno ancora ne ravviva la memoria? Se fate un rapido conto dal 1939 ad oggi, saprete che sono rimasti in pochi a ballare quell’Hully Gully. Anzi, in pochissimi; ed il problema è che non se ne è mai veramente parlato. Sapevate che Hugo Prat, il favoloso creatore di Corto Maltese era vissuto in Africa Orientale e aveva sofferto lo stesso campo di prigionia patito dalla mia famiglia? E il cantastorie genovese Bruno Lauzi era nato sul suolo italiano dell’Eritrea e che da quel suolo era stata cacciato dalla guerra?
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Così ho pensato che fosse quasi un mio dovere ravvivare una memoria che sembra poco interessare agli italiani e ancor meno gli storici. Io sono nato in Piemonte ma sono vissuto dal 1939 al 1942 in Africa con tutta la mia famiglia, e ho voluto scrivere, assieme a mio fratello, di quegli anni tremendi, anni che avrebbero poi trovato la loro naturale risoluzione ( se non per tutti certo per tanti), una volta rientrati in patria, nella guerra partigiana e nella Liberazione.
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Ho voluta scriverla e pubblicarla perché ne restasse memoria, legando la terra d’Africa alle colline e alle montagne della nostra Resistenza, soprattutto per cercare di sollecitare quanti ancora ricordano e hanno coscienza che quel periodo – l’Africa, la Resistenza - vissuto dalla gente comune non deve e non va dimenticato e che occorre fare di tutto per tenerlo vivo e trasmetterlo alle nuove generazioni.
Per questa ragione non ho voluto scrivere un romanzo ma un lavoro per il teatro da offrire alle nuove generazioni perché il loro amore per la drammatizzazione possa farlo proprio e interpretandolo secondo la loro sensibilità tramandarne la memoria ma arricchita di nuova linfa ancora più in avanti nel tempo.
Un grazie particolare a Renato Scarpa, Giuliano Esperati, Ileana Fraja che hanno accettato per puro spirito di amicizia di interpretare questa lettura accanto a giovani di talento come Jacopo Undari, figlio d’arte, e la deliziosa anima musicale di Leila Bahlouri. Non è stato un lavoro facile da realizzare; le ore di prove sono state tante e faticose, ore da togliere ad altro lavoro remunerato, per conferire dignità di interpretazione ad un testo non facile. Un testo che racconta di cose lontane e dimenticate, può essere rischioso, perché può anche non suscitare l’interesse del pubblico. Di un pubblico che ha dimenticato il sacrificio e la grandezza tanto meravigliosa quanto incredibile delle loro nonne e delle loro madri.
ASCOLI PICENO AUDITORIUM FONDAZIONE
REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON
Istituto provinciale della storia del movimento di liberazione nelle Marche e dell’età contemporanea.
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