Oggi al cinema. E domani?
Nel mondo del cinema circola da sempre un racconto, una specie di leggenda metropolitana. Si dice di una anteprima con ospiti illustri seduti in platea ma con un ospite più illustre di altri; Charlie Chaplin, ad esempio, o Federico Fellini. Alla fine della proiezione, tutti si allontanano facendo grandi complimenti al regista; ma qualcuno si accorge che l’ospite n°1 non si è mosso dalla sua sedia. Allora il regista si avvicina, incuriosito, imbarazzato e vede che l’illustre sta piangendo. Piange senza ritegno: il film lo ha straziato ed ora non riesce a staccarsi dalla sedia, bloccato dalla emozione suscitata dall’ultima sequenza. Questa “leggenda” è stata raccontata tantissime volte e a proposito di molti film. Qualche volta può essere successo realmente ( si è scritto di Chaplin alla visione di Umberto D) ma in linea di principio, quando vi raccontano questa storia, diffidate: il film è una bufala.
Così, quando ho letto che il senatore della Repubblica Italiana Umberto Bossi ” aveva pianto” alla proiezione di alcune sequenze del film Barbarossa ho subito pensato alla disperazione di un press-agent con poca fantasia e con il difficile compito di promuovere un kolossal che non avrebbe incassato un euro. Succede ed è successo anche per film molto belli, ma mi riesce difficile giustificarlo per questo Barbarossa, fortemente voluto dalla Lega ( leggi contributo dello Stato e intervento di Rai Cinema per il 40%) costato 30 milioni di dollari ( fonte: Rai, TG1) pari a circa 20 milioni di euro ( 13 dichiarati daRenzo Martinelli – fonte: Il Giornale). Il film parte con una distribuzione colossale: 400 sale, ridotte della metà dopo due settimane. L’incasso non supera il milione. E tutto questo malgrado la grancassa di una promozione che ha percorso il lungo e in largo il Nord –Est d’Italia ed una prima organizzata al Castello Sforzesco alla presenza, come si usa dire, di un magnifico ” parterre de roi” ovvero i maggiorenti della Regione Lombardia e Silvio Berlusconi e Umberto Bossi e Letizia Moratti e Ignazio La Russa e Roberto Maroni e Renato Pozzetto e Simona Ventura e chi più ne ha, più ne metta. Dunque un flop e di quelli brutti subìto poi da un regista che sino a ieri rifuggiva da aiuti pubblici sostenendo che il film è un prodotto soprattutto commerciale e come tale deve autofinanziarsi. In altre parole, vende se è buono, non vende se è cattivo. A buon intenditor…
C’è dunque materia per gettar la croce addosso al regista e a chi lo ha finanziato e far dell’ironia sull’ inserimento in post-produzione della faccia di Bossi, tanto per rispondere al regista che volle chiarire “ O il film piace o il film non piace. Che c’entra la Lega ? ” Appunto, che c’entra Bossi? Ma nemmeno questo è importante perché l’ inserimento della faccia del senatore della Repubblica Italiana ( non padana) può passare come un simpatico gioco fra due amici, uno scherzetto per non pagar dolcetto. Ma non c’è nulla da gioire; un film di così alto costo per lo standard italiano che non rientrerà mai dei soldi spesi è un fallimento per tutti e non c’è – ripeto – ragione per gioire anche per chi non vota Lega. Il problema è un altro: il problema è che ci sono giovani registi di sicuro talento che riescono anche a girare film con meno di mezzo milione di euro, usando testa e sperimentando nuove tecnologie, giovani verso i quali il nostro ministro-poeta Sandro Bondi , non mostra alcun interesse. E quanti film di giovani emergenti la RAI avrebbe potuto sostenere con i soldi spesi per Barbarossa, soldi che non recupererà - fatto salvo un intervento della Madonna di Lourdes – mai? E per cambiare argomento ma restare in tema, perché concedere gli aiuti statali al film di Neri Parenti, Natale a Beverly Hills che certamente non è un film “culturale” ?.
Con tutto il rispetto e l’ammirazione sincera che nutro per i registi che riescono a fare un film con storie insulse e qualche parolaccia, portando milioni di spettatori al cinema, perché il contributo statale? Dice Christian De Sica, protagonista da decenni di film stroncati dalla critica, ma amati dal pubblico natalizio: ”Il famigerato cinepanettone mantiene l’intero cinema italiano” (Corriere della Sera). Coraggio, De Sica, anche Bruno Corbucci sventolando il giornale che aveva stroncato un suo film o quello di un suo amico, amava urlare al vento e alla troupe allibita che i suoi film non erano la famigerata “Serie B” del cinema, ma addirittura la Nazionale. Perché il suo lavoro dava di che vivere ai Fellini. Ma dove sono i Fellini? Dove sono i produttori che leggono copioni scritti dalle nuove generazioni?. E comunque, i Franco e Ciccio non godevano del contributo statale; perché Beverky Hills, sì?
La spiegazione ce la fornisce quella fucina di calde intelligenze che è il giornale Libero che si chiede e vi chiede: “ E’ meglio finanziare polpettoni che nessuno andra’ a vedere, o film sciocchi che pero’ – (sic!) – ti strappano un’ora di sorrisi? ” Dal che si deduce che il film “impegnato”, il film che racconta storie a volte pesanti ma vere, i film che denunciano i problemi dell’Italia – ieri Sciuscià o Le mani sulla città – oggi gli extracomunitari, i disoccupati, lo sfacelo di una società borghese sono solo polpettoni che non meritano di essere finanziati dallo Stato. Meglio il panettone alla polpetta, sante le parole di Giulio Andreotti che si scagliava contro il neorealismo perché faceva male alla immagine dell’Italia, profondamente santo il dire del Primo Ministro Silvio Berlusconi che i film sulla mafia degradano il nostro Paese!
E che il reggiseno che Michelle Hunziker sventola gioiosamente cavalcando un giovanotto, sia da oggi, la nostra nuova bandiera.
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