La lettera dei cento
I 100 autori hanno elaborato questo testo. Chiediamo al mondo del
cinema, della TV, del teatro, e più in generale al mondo della cultura
e dell’informazione, di sottoscrivere questa lettera aperta. Chiediamo
a tutti coloro che la condividono di firmare individualmente, e di
aiutarci a diffonderla per raccogliere in breve tempo quante più
adesioni possibile. Per aderire è sufficiente inviare una email
all’indirizzo: coordinamento@100autori.it
Ai deputati e ai senatori della prossima legislatura,
ai ministri del futuro governo
Chi vi scrive rappresenta il mondo del cinema, della televisione, dell’audiovisivo. Ciò che raccontiamo si forma a poco a poco, mettendo insieme scrittori, registi, attori, scenografi, musicisti, operatori, maestranze: un insieme di creatività e competenze, un grappolo di saperi – studiati, appresi, tramandati.
Oggi, in un momento in cui si parla di paese ‘bloccato’, vorremmo portare la vostra attenzione su alcune semplici riflessioni. E avanzare delle proposte. Non lo facciamo con timidezza, non mormoriamo nei corridoi, non chiediamo la vostra amicizia per vederle realizzate – come forse un tempo avveniva. E’ per questo che vi proponiamo di rovesciare il punto di vista consueto: non stiamo chiedendo facilitazioni, favori, denaro. Chiediamo che l’avventura storica del nostro cinema e di tutto ciò che dal cinema ‘muove’ – il racconto televisivo ad esempio – possa tornare a essere centrale. Vi chiediamo dunque di pensare all’Italia non solo come a una fabbrica da far funzionare meglio o una famiglia di cui far quadrare i bilanci, ma anche come a un ambiente da affrescare, una grande parete chiara, una palpebra bianca su cui scrivere le storie che racconteranno – a chi verrà dopo di noi – ciò che eravamo, ciò che siamo stati, ciò che abbiamo cercato di essere. Ci sono parole che sembrano dimenticate e che invece vorremmo che tornassero ad avere senso e forza. Parole come etica, trasparenza, competenza, passione. Parole che, una volte rese reali, significano che in alcuni ruoli ’specifici’ non devono mai più andare persone che rispondano a patronati, ma persone capaci, oneste, felici di essere chiamate a quel ruolo, e ricche di volontà di fare, preoccupate esclusivamente del bene della collettività. Ci sono parole come ricerca, innovazione, sperimentazione, che sembrano diventate impronunciabili – parole che spaventano chi crede che un film debba essere pensato solo per un pubblico chiuso nel conformismo, sconcertato di fronte a qualunque racconto non elementare o nuovo. E invece non bisogna aver paura del nuovo. Perché il nuovo è il ghiaccio che si spezza – e sotto, piano piano, viene fuori una ricchezza che si faceva fatica ad accettare e che in breve diventa poi linguaggio condiviso. Pensiamo alla parola meno usata di questa campagna elettorale: cultura. Nessuno è contro la cultura, nessuno ne prende le distanze, nessuno confessa di detestarla, nessuno ammette di considerarla un peso, una roba per intellettuali lamentosi. E’ una parola consumata, che non dice più nulla, e perfino noi abbiamo difficoltà a usarla, per l’uso mercantile e falso che se ne è fatto. Siamo una nazione ricca del nostro lavoro e della nostra cultura, ma proprio in questo settore, siamo dietro a molti, a troppi paesi. Abbiamo dunque bisogno di cambiare. Sembra difficile, ma non è difficile. Sembra avere dei costi, e invece, tanto per cominciare, si potrebbe partire quasi a costo zero: insegnare il cinema nelle scuole; promuovere il lavoro dei nostri documentaristi sui luoghi di lavoro, nelle case, nelle campagne; avere delle vere regole di mercato; ruotare le nomine; far valere persone brave e competenti. Cose semplici, cose abituali in altri paesi. Servirebbe a noi, e a quelli che verranno… ‘Quelli che verranno’, sono i ragazzi. I nostri – e vostri – figli. Sono quelli che nelle loro stanze, davanti ai loro schermi privati, scaricano film dalla rete, talvolta legalmente, ma più spesso illegalmente, arricchendo i provider che usano il nostro lavoro senza riconoscerlo, privandoci dei nostri diritti. Noi riteniamo che sia giusto che gli autori tutelino lo sfruttamento delle proprie opere, arginando la marea montante della pirateria, anche telematica. Ma pensiamo che sia anche giusto che i giovani possano avere accesso ai nostri film senza pagare un costo che li rende di fatto inaccessibili. Quando diciamo ‘assieme’, intendiamo dire che, rispetto a quanto accaduto finora, vorremmo mettere le nostre competenze al servizio della collettività, proprio come sarete chiamati a fare voi una volta eletti. Il cinema – quando una storia o un’immagine è allo stesso tempo semplice e profonda – ha la forza immensa di dirci ciò che non sapevamo, di mostrarci ciò che non potevamo immaginare, nemmeno su noi stessi. Infatti il cinema, e tutto ciò che dal cinema discende, è un’arte semplice. Ma semplice non vuol dire banale, semplice significa qualcosa che sta alla fine di un lungo lavoro. E’ per questo che, quando un film ‘parla’ al pubblico e lo colpisce al cuore, si assiste a una specie di miracolo: lo spettatore, passivo per vecchia definizione, in realtà non è passivo per niente: si anima, prende parte, si schiera, discute: che diavolo è il monolite di Odissea nello spazio? E’ colpa di Mamma Roma se il figlio muore? Marcello, nella sua dolce vita, è un tipo malinconico o è uno stronzo? Ha ragione o no il professor Silvio Orlando a dire che I promessi sposi sono una palla? La domanda che occorre porsi è questa: di cosa ha bisogno il nostro paese per ritrovare se stesso, per specchiarsi senza paura della propria immagine, immobilizzata in una maschera? Può, chi governa, limitarsi ad avere il semplice ruolo di arbitro nella corsa dei cittadini al benessere economico individuale? Oppure, può limitarsi a chiedere ai cittadini di riconoscersi come comunità soltanto nel rispetto delle regole, delle compatibilità economiche, o di una maggiore equità fiscale? Abbiamo bisogno di buon cinema e di buona TV perché abbiamo bisogno di un nuovo sguardo. Non solo per noi, ma per gli spettatori, perché è il pubblico ad avere bisogno di un racconto di sé più nuovo, più abitato dalla contemporaneità. Vi ricordiamo, per concludere, quanto il mondo del cinema e della TV e del teatro e della letteratura aveva scritto un anno fa, in occasione di una grande allegra manifestazione: “Crediamo che lo Stato abbia l’obbligo di assicurare ai propri cittadini il diritto di accedere alla più ampia varietà possibile di opere – nazionali e internazionali, commerciali e ‘di nicchia’, di qualità e di intrattenimento, di documentazione e di ricerca, restituendo al cinema e alla TV un ruolo di arricchimento culturale. Negli ultimi anni questo diritto si è indebolito, riducendo la libertà di scelta per autori e fruitori, semplificando i messaggi trasmessi alle giovani generazioni, impoverendo intellettualmente e umanamente tutta la collettività.” |
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