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Ancora mi ricordo

Nella notte tra il 25 e il 26 aprile mio fratello Giorgio, partigiano, era di guardia sul ponte della Gran Madre di Dio, a Torino. Una nebbia leggera, su un buio senza luci e un rumore di passi che lo spaventano. Imbraccia lo Sten, grida “Altolà, o sparo” per sentirsi rispondere “Non far lo scemo, Giorgio: sono tuo padre”. Così mio padre ritornava da quattro anni di prigionia, dopo aver risalito la penisola con tappe dolorose negli ospedali di Bari, Roma, Firenze, Genova.

Il giorno dopo mia sorella Fulvia, staffetta partigiana, arriva a Pino D’Asti, nella cascina dove eravamo sfollati e dice a mia madre di farsi bella, perché ha portato con sé un uomo che è stato in prigionia con nostro padre e porta buone notizie. Mia madre si schernisce, dice che non è il caso di farsi bella per uno sconosciuto; poi dietro le insistenze di Fulvia, va a cambiarsi, si lava i capelli, si cambia. Mio padre aspettò in macchina due ore prima di farle “la sorpresa”.

Una sorpresa per lei e per i suoi figli, anche per l’ultimo, Alessandro, che aveva lasciato pochi mesi dopo la nascita. Alessandro lo guardò a lungo, spaventato, prima di dichiarare che quello non era suo padre; quello era “ un uomo”. Da quel giorno mio padre non riuscì più, negli otto anni di vita che la malattia gli avrebbe ancora concesso, di comunicare con lui.

Per me, il giorno della liberazione non è un giorno, non è una data; è come un confuso dormiveglia di pensieri; capii da quel 25 aprile che non saremmo più stati accompagnati nella stanza mortuaria del cimitero a salutare sconosciuti avvolti nella bandiera tricolore; e che non avremmo più udito il cadenzare dei tedeschi sulla strada principale e il loro bussare ad ogni porta e vederli infilare le baionette nella paglia e nel fieno e il loro cercare con furia ostinata le tracce dei partigiani e il loro prelevare galline e conigli e le uova e il pane e il maiale anche, se non si era fatto in tempo a nasconderlo in qualche cantina. E non avremmo più visto i partigiani uscire di corsa dalle case per gettarsi nei boschi e mia madre che nascondeva i documenti nella cisterna, mentre già il rastrellamento stava giungendo alla nostra porta; e quando ci misero in fila, davanti ad una mitragliatrice ed io, reso scemo dallo spavento, pensavo che ci stavano fotografando.

Questo e tante altre cose, è il mio 25 aprile, tante, tantissime altre cose. E raccomando a quelli che, come il sig. Dell’Utri o chi per lui, con ottusa ostinazione si vanno ripromettendo in questi giorni di riscrivere a modo loro la storia d’Italia di aspettare qualche anno per farlo; perché io, come tanti altri, ancora mi ricordo.

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