Verità soggettiva

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    Confrontarsi a distanza, così come noi facciamo, io a scrivere e voi a leggere in tempi e luoghi diversi, non è facile. La mancanza del rapporto diretto rende del tutto aleatorio il giudizio su cosa perseverare o sul cosa tralasciare. Così vi devo chiedere pazienza, se ancora insisto tanto sul documentario e sulla necessità di impadronirsi di questa speciale tecnica narrativa prima di passare al racconto originale nato da proprie esigenze creative e non “dettato” dall’ambiente che ci circonda. Il fatto è che, a mio parere, non esiste strada migliore per la regia, se non quella del documentario. Il documentario è l’unica vera scuola per chiunque intenda fare seriamente del cinema. Andrò quindi avanti su questa strada, e se non siete d’accordo, scrivetemi.
    A proposito del documentario, un professore universitario si chiedeva: “E’ la vita colta in flagrante?” e prometteva riflessioni sulla: “…ambiguità creativa delle varie anime del documentarismo classico e attuale, tra lo sfuggente pedinamento dei fatti reali e l’interpretazione soggettiva della verità soggiacente”. Io non ho seguito quelle lezioni e ignoro se il loro scopo era quello di aiutare gli allievi a farsi documentaristi o semplicemente a divenire storici del cinema; quello che so per certo è che non è la nostra strada.
    Non organizzeremo mai pedinamenti dei fatti reali. Anche quel cogliere la vita in flagrante è immagine suggestiva ma presuppone un’alta considerazione di se stessi, ovvero la prima vera trappola in cui il futuro documentarista rischia di cadere. O di soggiacere, come la verità soggettiva.


    LA FOTOGRAFIA ORIGINALE E’ DI GIUSEPPE GALLONE ©

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