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 Folco Quilici

 Giornalista, scrittore, maestro di cinema a lungo e medio metraggio, il suo nome viene associato al rapporto tra uomo e mare, ma a questa persona straordinaria è necessario riconoscere molti altri meriti quali, ad esempio, l’importante contributo dato alla relazione fra natura e cultura, fra parola scritta e parola filmata.

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Maestro attento al valore della immagine, alle trasformazioni del pianeta,  custodisce sotto una evidente scorza protettiva la straordinaria capacità di meravigliarsi, e di trasmettere questa meraviglia, per tutto quello che scorre davanti ai suoi occhi ed alla sua macchina da presa. Ai miei occhi, Folco Quilici riassume le qualità di Salgari, Verne e Hugo Pratt.  

Il Senato accademico dell’ Università agli Studi “G: D’Annunzio” nel conferirgli l’Ordine della Minerva lo ha così definito: ".. per l’impegno appassionato e costante, avallato da prestigiosi riconoscimenti nazionali ed internazionali, a favore di una produzione letteraria, cinematografica e documentaristica che esalta il valore delle proprie radici culturali in difesa dell’ambiente e della natura, troppo frequentemente offesi, concedendo opportuno spazio alle nuove tecnologie della rappresentazione in cui fondono scienza e tecnica in una dimensione storica dalla tipica impostazione narratologica. Il Senato Accademico, con il conferimento dell’Ordine della Minerva, intende rendere ulteriormente concreto il riconoscimento culturale già ampiamente dimostrato nei confronti dell’opera di Folco Quilici, sottoscrivendone la visione della scienza naturalistica colta e profondamente consapevole, che resta patrimonio indelebile delle attuali e future generazioni.”

Per saperne di più: Folco Quilici


271sestocontinente.jpgHo chiesto a Folco Quilici, della cui conoscenza mi onoro (ma mi piacerebbe chiamarla amicizia) di rispondere ad alcune domande sulla situazione del cortometraggio italiano. Sono sette quesiti ai quali Quilici risponde in modo conciso, utile, proprio perché sintetico, ad allargare (o aprire?) il dibattito sul Brutto Anatroccolo e sulle sue difficoltà a trasformarsi in Cigno. Perché io continuo a credere nella necessità di sapere quanti sono i documentaristi italiani. E infine, un bel libro sulla storia del cortometraggio italiano, con nomi, cognomi ed opere, esiste o suona come una bestemmia alle orecchie degli esegeti?

 

 

primi due quesiti.

D.Come definiresti la professione del documentarista?

R.Un’avventura culturale.

Quando gli ho inviato le domande, Quilici mi ha fatto presente che per rispondere adeguatamente avrebbe dovuto scrivere un romanzo. Io ho fatto appello alla sua capacità professionale di arrivare all’essenziale. Sulla risposta al primo quesito, mi sono già pentito della richiesta. Perché la sua è una risposta molto bella ed ora vorrei poterla approfondire. Come si realizza questa avventura? E’ quella dello studente che impara o quella del professore che insegna? E come operare perché l’avventura si realizzi? Voi, cosa avete da dire in proposito?

D. Il documentarista italiano vive in autonomia e tende a rifiutare l’associazionismo. E’ un male necessario?

Uno dei tanti mali.

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Quali sono gli altri, sempre secondo voi? Il primo nasce dalla necessità di disputarsi un solo misero osso, oppure il documentarista è un anarchico di professione e quindi alimenta una qualità caratteriale oggi non più permessa? Ed è un male per la storia della cinematografia? E’ nell’associazionismo il futuro del documentario?

 

a seguire: FOLCO QUILICI 2

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