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Il fascino del romanzo ritrovato

L’artificio del “manoscritto ritrovato” è un meccanismo narrativo spesso usato dagli scrittori di romanzi (Cervantes, Walter Scott, Manzoni)  per il fascino che quel documento nascosto o dimenticato per tanti anni esercita su di noi,  lettori. Ci fa partecipi di una realtà dispersa dal tempo, ci trascina in un mondo lontano lasciandoci comunque intatta la possibilità di conoscerlo senza i filtri del tempo trascorso, testimone sincero di una diversa mentalità con, in qualche modo, del piacere di farci sentire ladri di memorie. Dei privilegiati.  Il romanzo “ Nell’acquario di Angiporto Galleria” presenta tutti gli elementi dell’artificio letterario con qualche elemento ancor più intrigante: la storia è ambientata a Napoli,  il manoscritto è stato “ritrovato”dalla figlia dell’autrice avvolto in una vecchia copia del Mattino. Il titolo del romanzo ricorda la prestigiosa sede dell’Unità napoletana, sede e scuola per grandi giornalisti mentre la  guerra fredda fra gli USA e l’URSS – sono gli anni ‘50 – imponeva ai comunisti nostrani un rigore di vita da monaci trappisti (era stampato a chiare lettere sul retro della tessera del partito : vita privata onesta,  esemplare), dove la donna – tutte le donne – erano da considerarsi “puttane” costrette a nascondere un relazione giudicata illecita a non reagire alle violenze del compagno e ad abortire in silenzio i “figli della colpa”.  L’autrice del romanzo, Francesca Nobili Spada,  non risponde ai canoni voluti da PCI: l’innopne con un fascista durante la guerra; dopo essersi avvicinata al partito, viene considerata troppo intelligente, troppo dura nel difendere i suoi punti di vista. Troppo tutto per gli stalinisti di ferro,  ma è  accettata solo perché in secondo nozze ha sposato un militante, un medico, un giornalista considerato “ uno dei più puri marxisti di Napoli”. Renzo Lapiccirella che proprio a causa della moglie sarà allontanato dalle stanze che contano, sospettato addirittura di trozkismo. Potremo infine aggiungere che il romanzo  cita molte figure di comunisti del tempo le loro colpe (molte)  e le loro virtù (poche) , nascondendole in un gioco di specchi ma facilmente, ancora riconoscibili. E appare in controluce, il desiderio dell’autrice per di un mondo nuovo, sognato  fra persone “confuse e corrotte ” .Una delusione, una oppressione che la spingeranno al suicidio nel marzo del 1961, pochi giorni dopo aver terminato il suo romanzo. Il racconto si colora di altre annotazioni; lo ricorda Ermanno Rea in Mistero napoletano, mentre incoraggia Viola, la figlia dell’autrice a cercarlo perché  “…ammesso che Francesca non abbia dato alle fiamme il suo manoscritto, esso fu ereditato da Renzo che, giudicandolo imbarazzante per i suoi contenuti, lo nascose da qualche parte (…) Lo conserva, dunque. Il che vuol dire che nessuno riesce a posarci più gli occhi sopra…(…) Spero tu riesca a risolvere al più la presto la questione” E Viola Lapiccirella, figlia di Renzo e di Francesca lo ritrova, lo copia fedelmente e lo consegna all’attenzione e alla passione dei lettori moderni. Perché “ Nell’acquario di Angiporto Galleria” non è, come si potrebbe pensare,  un artificio letterario; non è una creazione, una invenzione d’arte. La polvere posata su quella copertina non è finta, le pagine non sono fittizie, artificiali, fantastiche, volute. Sono pagine che raccontano una  storia dura, vera; una storia che  aiuta a riflettere, incoraggia a riportarci a quegli anni difficili e ricchi di speranza,   a farci sentire un poco in colpa, anche,  noi uomini di sinistra incapaci di essere stati meritevoli dei nostri ideali . E per molto tempo. Troppo.

Chi desidera acquistarne copia può rivolgersi all’editore Zamorani editore, anche per copie firmate dalla trascrittrice. L’Editore è di Torino.

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