• Film

La Bella e la Bestia, immagini e critiche

L’Humanité

Si dirà che “ La Bella et la Bestia” è una favola per bambini. No. E’ un’opera di  Jean Cocteau, preziosa ed ampollosa, dove la favola non è che un pretesto e dove la qualità dei dialoghi  (…) non può cancellare la semplice verità di una bella storia.. La sua bellezza è una bellezza intellettuale, calcolata, fabbricata da un esteta per altri esteti.Malgrado la quasi perfezione che raggiunge, il film ci ha commosso in più di un momento” (Guy Leclerc, 09.10.1946)

L’Etoile du soir

“Per realizzare il suo capolavoro,  Jean Cocteau si è circondato di tecnici d’elite ed è da sottolineare; particolarità interessante, la presenza di un direttore artistico, scelta innovatrice nel cinema. Questo nuovo impegno, affidato con scelta felice a  Christian Bérard  ha permesso altri doni felici come quelli dei pittori e decoratori di grande talento. L’ideale di questo artista è stato quello di far progredire la scenografia cinematografica verso nuovi livelli ancora non avvertiti da questa nuova arte. E’ da aggiungere la felicità di Christian Bérard di collaborare con  Jean Cocteau che, come poeta,  si è da sempre posto all’avanguardia del cinema.” (Marie-Christine Guibert, 19.10.1946)

*


Le Canard enchaîné

” Non mi sono annoiato un solo minuto, (…) ho trovato questo film molto commovente (…) e mi sono lasciato trascinare dalla storia della Bella e della Bestia  (…).Non si capisce perchè la giuria del Festival di Cannes non ha inteso porre questo film fra i lavori eccezionali: un film che non ha emuli al mondo e che solo  Cocteau poteva realizzare (…). Vorrei insistere sull’importanza capitale di questo film nella produzione mondiale… Paragonate, se lo desiderate,  il lavoro di Cocteau nella Bella e la Bestia a quello di Carné, ne i Les Visiteurs du soir… Cocteau è nel segreto degli dei, mentre Carné è rimasto fermo sulla porta. No ? E tuttavia il testo dei Visiteurs è di molto superiore a quello della Bella e la Bestia…” ([S.N.], 20.09.1946)

L’Aurore

“Questo tipo di cinema, da qualche anno a questa parte tende istintivamente ad abbandonare la strada maestra , talvolta troppo banale per impegnarsi su sentieri più pittoreschi, più nostalgici, più belli. Il film d’azione, quello psicologico vengono abbandonati a poco a poco in favore di opere scultoree  dove l’interesse risiede nella plasticità, nella bellezza, e molte volte nella architettura. E  Jean Cocteau, più di tutti gli altri si è gettato verso l’ottava arte  (…). Cocteau si è dunque, spinto  quasi unicamente da solo, nel tentativo di  sostituire alla scrittura di un poema la scrittura per immagini. (Claude Lazurion, 30.10.1946)

*

France Soir

“ La riuscita artistica de La Belle e la Bestia è un avvenimento unico nella storia della cinematografia francese. Per la prima volta un poeta, ovvero per molti un profano, molto profano, un raffinato, un pigro, si è rimboccato le maniche si è installato negli Studi e ha ingaggiato un combattimento contro il mezzo meccanico. L’incantatore, nel riuscire ad abbandonare al guardaroba la sua bacchetta e la sua lyra, l’artista è riuscito così a  salvare la sua arte, il suo sogno. Perchè nel cinema tutto viene ricostruito laboriosamente , i miracoli come la bruttura.” (André Lang, 01.11.1946)

Le Monde

“ Un poeta, un disegnatore anche [Jean Cocteau] ci ha appena costruito con amore tutte le immagini che compongono la Bella e la Bestia.  E questo miracolo dovrebbe essere definito cinema letterario, del resto, tutto si giustifica con il racconto di una fiaba dove ogni immagine è coerente con la successiva (…). Ho l’impressione che il suo magico potere riesca a suscitare sempre il medesimo prodigio (…). Siamo in presenza di un’opera d’arte molto importante, molto valida. Siamo in presenza di un film di grande impatto emotivo. “(Henry Magnan, 01.11.1946)

France libre

“ Si discuterà per qualche tempo dell’opera di  Cocteau, come si parla oggi dell’opera di  Molière ; almeno per segnare uno dei momenti  dell’arte cinematografica francese (…). Le parole dell’autore (…) sono rare sotto ogni punto di vista e concorrono con i costumi e la scenografia  (…) e le luci a costruire una armonia che è gioia costante per gli occhi e per le orecchie dello spettatore.”(P. Velghe, 06.11.1946)


La Dépêche de Paris

“ La sequenza che si svolge nel castello incantato della Bestia non è di grande qualità. La prima volta che vediamo il lungo corridoio illuminato da candelabri formati da braccia umane mosse da una volontà misteriosa noi reagiamo. Ma passato il primo effetto generato dalla sorpresa la sequenza diventra poco sopportabile perchè troppo ripetuta. Si insedia una sorta di monotonia e non veniamo trasportati in un mondo irreale. Jean Cocteau non ne ha tenuto conto: abbiamo già visto il Ladro di  Bagdad[Michael Powell] e altri film dominati dalla fanstasgoria dove tutte le possibilità della magia del cinema sono già state esplorate. Ed è difficile rinnovare il nostro interesse e la nostra emozione con questi trucchi. Sarebbe meglio cercare di creare una atmosfera con mezzi più semplici.” ([S.N.], 12.11.1946)

Climats

“ L’ambientazione e i costumi  di  Bérard sono piacevolissimi alla vista ; Jean Marais, è  molto bravo nel ruolo de lla Bestia e molto meno convincente in quello di Splendore , Josette Day, non convince ; la musica  d’Auric non è orribile. Ma La Bella e la Bestia non riesce a soggiogarci totalmente come nell’indimenticabile età dell’oro. In definitiva manca a questo film, a mio parere,  quella asprerzza segreta che troviamo così evidente nei film di  René Clair  o di  Clouzot : l’asprezza non è necessariamente violenza; come tutte le opere che pretendono di giocare nello stesso tempo sui tavoli dell’avanguardia e su quello del mezzo comune, è destinata al fallimento: perde in entrambi i giochi “(Jean-José Marchand, 14.11.1946)

Arts

” Nessun altro film, probabilmente, è stato tanto atteso quanto questo. Nessun film ha deluso di più, nessuno tanto atteso come questo. Ovunque sia stato presentato (…) applausi calorosi hanno accompagnato lo scorrere del cast e un silenzio assoluto ha chiuso la parola fine. Questo semplice fatto è ricco di significato. Il pubblico resta con la sua voglia , la sua attesa. IL pubblico che viene al cinema della speranza di due ore di oblio, di emozione o di risate o, almeno due ore di rilassamento; e lo spettatore non trova nulla di tutto ciò. E’ – invece – costretto ad una attenzione continua ad una tensione permanente  posto di fronte ad un’opera che gli è estranea e che lo lascia sempre estraneo e dove le cose belle , per quanto reali possano essere, non arrivano ad avvertire i punti sensibili di un’opera che non porta calore ma trascina con sé una specie di luminescenza ghiacciata ed inumana. “ (Eugénie Helisse, 15.11.1946)


Scritto da Giulio Berruti lunedì, 3 febbraio 2014 alle ore 14:57 [Permalink]

Inserisci un commento

Inserisci un commento

Modulo di inserimento