• Luce e Colore

Simona, note personali

I tre protagonisti del film: Laura antonelli, MaurizioDegli Esposti, Margot Saint’Ange

I tre protagonisti del film: Laura Antonelli, Maurizio Degli Esposti, Margot Saint’Ange

Questa è  una riflessione sul film Simona, regia di Patrick Longchamps, girato in Belgio ed in Spagna nel 1974. Un film che con una maggiore attenzione e maturità professionale da parte del regista come della produzione italiana, avrebbe avuto uno straordinario successo di pubblico e di critica.

Sul set di Simona. Da ds a sn: Patrick Longchamp, Giulio Berruti, Bruno Dreossi

Sul set di Simona. Da sn a ds: Patrick Longchamps, Giulio Berruti, Bruno Dreossi

Patrick Longhcamps,  persona di grande intelligenza e sensibilità, affrontò questa avventura con soldi propri ed una scarsissima preparazione professionale. ” Ho fatto uno stage su un set di Fellini – sosteneva – e questo vale più di tanti anni di scuola.” E’ così, è vero, ma solo  per quanto riguarda la creatività, ma quello che il regista belga non ebbe il tempo di considerare è che Fellini conosceva come pochi la grammatica filmica: poteva rispettarla come  eluderla ma il materiale che arrivava in moviola era più che 1-pp-laura-antonelli-_-simona-1974sufficiente alla scelta della migliore sequenza possibile. E il passaggio da una sequenza all’altra, in Fellini, è sempre una scoperta, una novità, una lezione di cinema. E questo arriva certo dalla grande creatività del regista ma anche dalla sua indiscussa conoscenza della tecnica; un bagaglio che in pratica nessuno possiede quando è alla prime armi. Perché se Patrick aveva ( e ancora avrà) grande fantasia creativa il suo essere praticamente a digiuno totale di tecnica e regole di montaggio lo porterà a costruire un lavoro fatto di tante bellissime fotografie ma di poco film. A riprova di quanto dico, la presenza e poi l’abbandono pp-di-margot-saint' ange_simona-1974di Kim Arcalli al montaggio. Finite le riprese, andai a trovarlo alla Venus dove si era ridotto a montare da solo e viveva a caffè. Prima ancora, durante le riprese mi chiamò da parte per una lunga chiacchierata ( durò un un paio d’ore ). Patrick sapeva che ero anche montatore e mi sottopose ad una specie di esame di ” simpatia” o se volete di  ” cultura generale”. Credo che per un attimo avesse pensato di affidarmi il montaggio del film. Io non feci nulla per assecondarlo.  Montare il suo film,  come ebbi a poi a verificare,  si sarebbe rivelata una impresa quasi impossibile.

Da sn a ds: Aiace Parolin direttore alle luci, giulio Berruti, e Alain Elledge, primo aiuto regista

Da sn a ds: Aiace Parolin direttore alle luci, Giulio Berruti, e Alain Elledge, primo aiuto regista

Ero stato chiamato sul set perché dopo una settimana di riprese la produzione era indietro di una settimana ma la mia presenza non aiutò moltissimo. Potevo solo litigare   – come feci – con le  maestranze sul set ed i costruttori, fare anche quattordici ore di lavoro tutti i giorni,  ma non era possibile intervenire sull’organizzazione delle riprese. Poteva saltare da un totale a un primo piano e poi tornare al totale con gran spostamento di luci e perdita di tempo. Come direttore alla fotografia c’era Aiace Parolin che conoscevo bene; professionista di grande qualità, rapido e preciso ma anche lui era costretto ad adattarsi . Ricordo le riprese in camera da letto; Patrick volle che le pareti e il baldacchino e la pedana fossero coperti da piccoli specchi; lo avvisammo che così si sarebbe vista la macchina da presa.
Niente da fare; coprimmo l’operatore e il carrello mancini con i teli neri, cercando angolazioni quasi impossibili, con Aiace che si era messo alla macchina, visto che Lannuti sembrava aver perso la pazienza ed era diventato irascibile; ma ad ogni movimento chiesto dal regista gridava “tana” perché si era visto il riflesso della macchina da presa. Avevamo perso molte settimane per la costruzione di quella stanza da letto pagata cara, perdemmo molti giorni per girare quell’ambiente e nel film che ho visto non è rimasto quasi più nulla di quell’ambiente. E il tavolo da pranzo era stato fatto con marmo di Carrara, a Carrara,  e tutto quanto circondava il film era antiquariato di classe come per un film di Visconti. E c’erano migliaia di crisalidi pronte a trasformarsi in farfalle per una scena finale e le crisalidi non capiscono i ritardi del set.Quando decidono di trasformarsi in farfalle così fanno, senza aspettare il ciack e così perdemmo quel volo liberatore.  Allora vi chiederete, perché ne scrivo visto che Simona non è destinato ad entrare nel Ghota del cinema europeo? Per simpatia per affetto verso Patrick, ma soprattutto e in particolare perché ancora oggi la non riuscita di Simona mi è rimasta sull’anima. Se Patrick Longchamps si fosse reso conto che una intelligenza diversa dalla sua non era una intelligenza inferiore, se avesse ascoltato non la voce di un altro creativo ma la voce degli artigiani di cui si era circondato, allora avrebbe fatto di Simona un film capolavoro e di lui un regista. Ancora oggi mi chiedo chi l’ha costretto ad andare alla prima a Roma presentando una copia orribile del film, avvilendo così anche la bellissima fotografia di Aiace. Ancora oggi mi chiedo chi non è stato in grado di dirgli che il montaggio non funzionava, che occorreva ristampare tutto, portarlo in una moviola e lasciarlo lì, in compagnia di bravo montatore. Lasciarlo, abbandonarlo e andare in vacanza. A volte i figli crescono meglio senza avere sul collo il fiato del genitore. Io non so che fine abbiano fatto Roland suo amico ed esecutivo e Patrick regista,  ma se capiterà loro di finire su queste pagine fatemelo sapere; magari per insultarmi.

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Commenti [2]

  1. Alex Says:

    Ho visto il film ed ho letto il libro. Non so proprio dove volesse andare a parare Longchamps con questo suo lavoro. Gli riconosco una certa cura formale, ma tutto il resto gira a vuoto pneumatico, a cominciare dagli attori poco convinti. Va detto che circola una versione con tagli totali di 8 minuti – e sarei curioso di vederla, ce ne fosse il modo – però non credo proprio che questi pezzi mancanti salverebbero il film.

    Per una persona senza esperienza, m’è parso un passo più lungo della gamba. Tecnica e soprattutto creatività non si imparano (se mai possano essere insegnate) con uno stage di 1 settimana.

    Saluti.

  2. Matteo Veronesi Says:

    Lo sto guardando ora su Cielo (so che è rimasto bloccato per anni per motivi di diritti). A me sembra, se non un capolavoro, un film ottimo.
    Le imperfezioni formali e tecniche (le incoerenze del montaggio, gli scompensi nella struttura, l’orientamento inconsueto e obliquo di alcune inquadrature) finiscono per giovare al carattere surreale e straniante della pellicola, che evidenzia – anche negli intermezzi grotteschi, all’apparenza corpi estranei – l’antitesi fra ossessione e liberazione, angoscia e piacere, peccato e godimento, stasi e moto, prigionia nel passato e apertura al futuro.
    Insomma il film rispecchia il carattere visionario e deformante dell’opera a cui è ispirato, “Histoire de l’oeil” di Bataille.
    Ci sono registi in cui anche certe imperfezioni, certe negligenze divengono tratti stilistici, elementi d’arte.